Da “www.corriere.it” fonte sito web

articolo del 03 Marzo 2022

a cura di Michela Rovelli

Secondo gli esperti che studiano le possibili applicazioni dell’intelligenza artificiale nella giustizia l’essere umano non verrà mai sostituito completamente da un algoritmo. Ma la tecnologia può aiutare, e tanto. Ecco come

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Chi viene sorpreso a causare un incidente stradale, a rubare o a compiere una frode nella città di Shanghai potrebbe presto ritrovarsi in tribunale davanti a un computer. Sul desktop vedrebbe apparire un software di intelligenza artificiale che, dopo aver vagliato migliaia di casi simili al suo avvenuti in tutto il mondo tra il 2015 e il 2020, prenderebbe una decisione. Colpevole o innocente. Nella più caotica e affollata procura cinese, quella di Shanghai Pudong, è stato assunto il primo giudice-robot. Secondo i ricercatori della Chinese Academy of Science, che hanno creato e allenato l’algoritmo, è in grado di prendere decisioni con un’accuratezza del 97 per cento e dunque potrebbe prendere il posto di un procuratore in carne ed ossa. Potrebbe, perché per il momento si limita ancora a suggerire la sua sentenza agli esseri umani che lo consultano. Su 8 diversi crimini comuni: dalle scommesse alla guida pericolosa fino al furto e alla frode.

L’intelligenza artificiale nella giustizia

C’è chi guarda alla Cina come a uno stato dove le tante sperimentazioni per portare la tecnologia in tribunale sono colorate di ombre orwelliane. Ma, con la dovuta attenzione ai problemi tecnici e soprattutto considerando le importanti questioni etiche, le potenzialità dell’intelligenza artificiale in ambito giurisprudenziale sono enormi. E progetti in questa direzione, con le dovute cautele, sono portati avanti in tutto il mondo. Grazie alle diverse spinte che arrivano da istituzioni, tribunali, centri di ricerca e università. Parola d’ordine: giustizia predittiva. L’obiettivo non è mai quello di sostituire il giudice nelle sue decisioni, ma piuttosto di aiutare lui, gli avvocati e i cittadini nel processo decisionale. Sfruttando algoritmi che propongono la soluzione migliore avvalendosi di migliaia di dati raccolti in un database. Nei modi più svariati. La macchina, attraverso il machine learning, può creare elaborazioni statistiche su decisioni passate per “prevedere” il successo o meno di un caso. Oppure stimarne costi, durante e possibile esito. Esempi di sperimentazioni si trovano in Canada – nella British Columbia è già attivo un sistema di risoluzione delle controversie online per la giustizia civile – e negli Stati Uniti, dove i software vengono sfruttati soprattutto per elaborare il rischio di recidività di un accusato. Sistemi simili vengono usati anche in Olanda. Sempre in Europa l’Estonia sta provando ad automatizzare alcuni processi decisionali mentre la Gran Bretagna, alla University College of London, nel 2016 è stata creata un’intelligenza artificiale in grado di prevedere con il 70 per cento di accuratezza le decisioni della Corte europea dei diritti umani. I risultati non sempre sono positivi: la materia è delicata. Ed ecco che ad esempio in Francia si è deciso, dopo alcuni test di software commerciali, di v ietare l’uso di algoritmi in grado di profilare i giudici e la loro esperienza in una data materia attraverso algoritmi predittivi.

«Magistratura indipendente, anche dalla tecnologia»

Anche in Italia si sta studiando come sfruttare la tecnologia in ambito giuridico. A cominciare dal ministero della Giustizia dove «c’è un altissimo interesse su temi di intelligenza artificiale, a partire dalla nostra ministra Cartabia, che dedica un’attenzione particolare a tutti i temi digitali». Ce lo racconta Vincenzo De Lisi, direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del ministero della Giustizia. Secondo lui gli algoritmi possono aiutare il giudice a scegliere meglio e in modo più consapevole, «ma non possono sostituirlo. L’intelligenza artificiale, che permette di estendere le capacità umane di studio e comprensione, può – e dovrà – intervenire nella fase della conoscenza: è uno strumento estremamente potente e utile. Ma la decisione deve rimanere nelle mani dell’uomo. La magistratura deve rimanere indipendente, anche dalla componente tecnologica».

La Carta etica dell’Unione europea

Un concetto, questo, riportato anche dalla Carta etica per l’uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari pubblicata dal Consiglio d’Europa nel 2018. Si tratta di un documento di fondamentale importanza che sottolinea la «crescente importanza della intelligenza artificiale nelle nostre moderne società e dei benefici attesi quando questa sarà pienamente utilizzata al servizio della efficienza e qualità della giustizia» ma che vuole anche evitare l’insorgere di possibili problematiche. Oltre a ricordare il rispetto dei diritti fondamentali per evitare discriminazioni, la carta ricorda la centralità dell’utente, la cui libertà di scelta dev’essere sempre preservata. Sarà sempre e comunque il giudice, dunque, a essere padrone delle decisioni. E deve sempre essere garantita la trasparenza dei dati che sono stati utilizzati per arrivare al risultato automatizzato. La scelta del dato, appunto, è uno degli aspetti fondamentali. Lo ricorda anche De Lisi: «La sua qualità è la garanzia di un corretto addestramento degli algoritmi. Il tema si sposta da un problema tecnologico, a problema di etica e rispetto della privacy».

Il caso Compas

Iconico, in questo senso, è il controverso caso di Compas (Correctional Offender Management Profiling for Alternative Sanctions) un software di intelligenza artificiale creato da una società privata utilizzato negli Stati Uniti per calcolare il rischio di recidiva di un reo. Nel 2016 un gruppo di ricercatori ha evidenziato come l’algoritmo fosse inaffidabile e discriminatorio nei confronti degli imputati di colore, su cui sovrastimava il rischio di recidiva, proprio a causa dei dati imparziali utilizzati per il suo allenamento.

I progetti del ministero della Giustizia

Tornando al nostro Paese, qui i progetti più ambiziosi, a livello nazionale, sono legati al PNRR, il piano nazionale di Ripresa e Resilienza legato al programma di fondi europei del Next Generation EU: «Il nostro principale obiettivo oggi su questo fronte – spiega De Lisi – è quello di creare una grande banca dati delle decisioni civili conformemente alla legislazione. Che sia gratuita, pienamente accessibile e consultabile. Un banca dati che raccolga tutte le casistiche a livello nazionale di sentenze, provvedimenti e ordinanze civili. L’obiettivo è di essere pronti per fine 2023». A questo si aggiunge un secondo progetto, per uso interno: la costruzione di «un grande Data Lake, un magazzino di dati su cui fare analisi per capire gli orientamenti giurisprudenziali e analisi avanzate. Per fare questo stiamo studiando l’applicazione di algoritmi e modelli di intelligenza artificiale al patrimonio informativo di giustizia. Siamo in una fase iniziale, a breve inizieranno i lavori, con un obiettivo di completare i diversi filoni progettuali per metà 2026».

Il progetto Giustizia Predittiva a Brescia

Oltre al ministero, sono tanti i tribunali che hanno stretto accordi con le università locali per capire come poter inserire processi automatizzati e dunque da una parte aiutare il cittadino nella ricerca degli strumenti giuridici e nella comprensione delle norme, dall’altra sgravare la sempre più appesantita macchina giurisprudenziale. Chi ha già attivato lo scorso novembre, in via sperimentale, il suo progetto di giustizia predittiva, è la Corte d’Appello di Brescia. Il presidente Claudio Castelli è colui che, con passione, continua a premere l’acceleratore sull’ingresso della tecnologia nel suo tribunale: «Il problema è abbastanza semplice: la predittività delle decisioni è un elemento positivo. Oggi non c’è né trasparenza né circolazione della giurisprudenza. E questo è un danno sia per i magistrati e gli avvocati sia per gli agenti economici, perché non si sanno gli orientamenti che esistono». Ecco allora la nascita, lo scorso novembre, di una piattaforma che permette di avere orientamenti, tempistiche e analisi delle sentenze attraverso lo studio di una banca dati. Studio per ora solo umano ma che in futuro potrà essere gestito da un algoritmo.

Le sperimentazioni del Sant’Anna di Pisa

Chi invece già sta studiando l’applicabilità di sistemi di intelligenza artificiale che possano aiutare a migliorare la giustizia è il Lider-Lab (Laboratorio Interdisciplinare Diritti e Regole) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in collaborazione con i tribunali di Genova e Pisa. Tanti i fronti di ricerca, il direttore generale del laboratorio, Giovanni Comandè, parla di una «costellazione di progetti». I primi risultati sono stati raggiunti, ad esempio, su una serie di tecnologie per automatizzare l’anonimizzazione dei testi, per la tutela dei dati personali: «Siamo già riusciti a dimostrare che la protezione della privacy non ha un effetto negativo sull’accuratezza». Ma forse la sperimentazione più interessante è quella che riguarda un sistema di intelligenza artificiale per l’annotazione semantica delle decisioni: «Oggi – spiega Comandé – le banche dati cercano la parola chiave, noi invece cerchiamo delle frasi che corrispondono alle tipologie che abbiamo individuato: quella che indica la decisione, quella che indica la prova, eccetera. Sono banche dati che, ad oggi, non esistono al mondo». Creare un sistema di annotazione semantica è come evidenziare con colori diversi un testo: il caso generale, il verde per l’applicazione specifica, l’arancione per l’eccezione. «Lo facciamo su un certo numero di sentenze e poi alleniamo gli algoritmi, che imparano ad annotare semanticamente i testi in automatico. Con queste possiamo passare all’allenamento di altri algoritmi che dovrebbero essere in grado di fare delle previsioni. Ed ecco la giurisprudenza predittiva». I primi risultati indicano una percentuale di accuratezza molto alta, non inferiore al 65 per cento: «Stiamo lavorando sulle tematiche di diritto civile. Le due aree test, anche per questioni di ragioni storiche – abbiamo iniziato a lavorare al database 25-30 anni fa – sono il danno alla persona e il diritto di famiglia. Ma la tecnologia è una cellula staminale, una volta sviluppata lasi può applicare a qualsiasi dominio».